Martedì 27 Gennaio 2015

8 - Delitti contro l’assistenza famigliare

 

DELITTI CONTRO L’ASSISTENZA FAMILIARE
(a cura dell’Avv. Cristina Magnani)

La famiglia è un istituto costituzionalmente tutelato. Alla famiglia la Carta Costituzionale dedica gli art 29, 30 e 31. A riprova dell’importanza che la famiglia riveste per il Legislatore, il codice penale prevede una specifica tutela della stessa,  sotto la rubrica “Delitti contro l’assistenza familiare”( Libro II , titolo XI , Capo IV del codice penale).  Il codice penale estende la tutela anche alle famiglie di fatto (572 c.p. “Maltrattamenti contro familiari e conviventi“), quelle cioè non fondate sul matrimonio. Di seguito si procede ad una breve elencazione dei delitti contro l’assistenza familiare.  


Art 570 c.p. “Violazione degli obblighi di assistenza familiare”

Tra i delitti contro la famiglia quello, certamente, più frequente è la “violazione degli  obblighi di assistenza familiare“ di cui all‘art 570 del codice penale.
Tale articolo, al comma I,  punisce, con la reclusione fino ad un anno o con la multa da euro 103,00 ad euro 1.032,00, chiunque, abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza, inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge.
Al comma secondo del citato articolo è punito, con la pena congiunta della reclusione e della multa, nella misura sopra indicate, colui che ;
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è procedibile d’ufficio, nell‘ipotesi di cui al precedente n 1 e, se commesso ai danni di un minore, in quella di cui al n 2. Negli altri casi il delitto è procedibile a querela della persona offesa.
La giurisprudenza di legittimità e di merito sostiene la sussistenza del delitto anche qualora le esigenze economiche del minore siano, integralmente, soddisfatte dall’altro genitore o dai nonni o da terzi.

L’art 12 sexies della  Legge 898/1970 ( Legge sul divorzio ) dispone: “Al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli art 5 e 6  della presente legge si applicano le pene  previste dall’art 570 del c.p.”
La giurisprudenza è concorde nel ritenere che l’art 570 c.p. e l’art 12 sexies L 898/70 descrivano due autonome fattispecie di reato, che possano anche configurarsi in concorso tra loro.
L’obbligazione di assistenza familiare, tutelata dall’art. 570 c.p., ha un contenuto  più ristretto dell’assegno di mantenimento, tutelato dall’ art 12 sexies citato.
La prima comprende quanto necessario al soddisfacimento delle esigenze primarie di vita, quali il vitto, l’alloggio, le cure mediche, il vestiario, l’istruzione.
La seconda comprende anche tutte le ulteriori spese, non strettamente necessarie, ma che, ad esempio, servano a garantire, al destinatario dell’assegno di mantenimento, la conservazione di quel tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Inoltre, la sussistenza del delitto di cui all’art 12 sexies della L 898/1970 non richiede la prova dello stato di bisogno della persona offesa. Il delitto è consumato dalla mera inottemperanza all’obbligo di mantenimento, stabilito dal giudice civile.
L’art 570 c.p. presuppone la prova del dolo (generico) in capo al soggetto agente, cioè la prova della consapevolezza e volontarietà, in capo all’imputato, di omettere il necessario per la sussistenza dei soggetti tutelati dalla norma in esame.
Dunque, il rimando operato dall’art 12 sexies L 898/70 all’art 570 c.p. è inteso solo quoad poenam, cioè solo per la determinazione della pena edittale, ma i due reati descrivono fattispecie diverse, tra loro autonome.

Art 571 c.p. “Abuso dei mezzi di correzione”
La norma punisce, con la reclusione fino a sei mesi, chi abusa dei mezzi di correzione o di disciplina, in danno di persona sottoposta alla propria autorità o allo stesso affidata per ragioni di :
- educazione
- istruzione
- cura
- vigilanza o custodia
- per l’esercizio di una professione o di un’arte Il fatto è punito se da esso derivi per la vittima il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente
Se dal fatto deriva una lesione personale si applicano le pene previste per il reato di lesioni personali (artt. 582c.p. ), ridotte ad un terzo.
Se ne derivi la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni.
Il reato è procedibile d’ufficio.
Per la giurisprudenza e forse non solo per essa, non sempre appare agevole distinguere tra uso e abuso dei mezzi di correzione. Così, se la Cassazione, nell’anno 2004, ha disposto che un occasionale ceffone non integri un abuso dei mezzi di correzione : “il termine correzione va assunto come sinonimo di educazione e  presuppone che tali mezzi, tra i quali può farsi rientrare un, pur occasionale ed  opportuno ceffone, possa farsi un uso consentito e legittimo che però, trasmodando in  apprezzabile eccesso, si trasforma in illecito, così integrando la figura dell‘abuso“ 
(Cass. Sez. VI n. 4934 del 9/1/2004),  quello stesso anno, la stessa giurisprudenza di legittimità ha, invece, ritenuto che la violenza sia sempre abuso e mai mezzo di correzione : “ L’uso della violenza non può mai ritenersi finalizzato a scopi  rieducativi, specie oggi che l’ordinamento e la coscienza sociale attribuiscono anche  al minore  dignità di persona e titolarità dei diritti, senza più considerarlo semplice  destinatario di azioni protettivi. A ciò dovendosi aggiungere la considerazione del  cosiddetto “principio di non contraddizione”, il quale impone di escludere che valori 
educativi possano radicarsi nella personalità del minore con l’uso di un qualsiasi  mezzo violento” (Cass penale Sez. VI sent. N. 44621 del 26/10/2004).


Art 572 c.p. “Maltrattamenti contro familiari e conviventi”

La norma sanziona, con la pena della reclusione da due a sei anni,  chiunque maltratta una persona della famiglia  o comunque convivente, o persona sottoposta alla propria autorità o allo stesso affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, oppure per l’esercizio di una professione o di un’arte.
La pena è aumentata se dal maltrattamento derivi una  lesione personale grave o gravissima o la morte della vittimaIl reato è procedibile d’ufficio Di particolare rilievo sono le modifiche introdotte dal D. Legge  n 93 del  14/08/2013  , convertito con modifiche in L. 15 ottobre 2013 n 119 (Legge sul Femminicidio).
La riforma in esame ha introdotto l’arresto, obbligatorio, in flagranza del delitto di cui  all’art 572 c.p. L’estensione riguarda anche il delitto di atti persecutori (art 612 bis c.p.).  Prima della riforma, l’arresto in flagranza del delitto di maltrattamenti era facoltativo, salvo il caso in cui dai maltrattamenti derivasse la morte della vittima. In tale ultimo caso, l’arresto in flagranza era ed è, evidentemente, obbligatorio.
L’arresto facoltativo in flagranza di maltrattamenti stava a significare che lo stesso era rimesso alla valutazione della Polizia Giudiziaria; valutazione  assunta  sulla scorta della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto agente, desunta dalla personalità dello stesso e dalle circostanze del fatto.
Ora la scelta non è più rimessa alla Polizia Giudiziaria, che, in presenza di flagranza del reato deve, obbligatoriamente, procedere all’arresto.
Perché ciò avvenga, però, devono emergere all’osservazione della Polizia Giudiziaria, sopravvenuta nell’immediatezza dei fatti, due elementi:
1- la flagranza del reato
2- l’abitualità della condotta incriminata
1) E’ in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato o subito dopo la commissione dello stesso è inseguito dalla Polizia Giudiziaria, dalla persona offesa o da terzi, oppure è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che il reato e stato commesso immediatamente prima. ( art 382 c.p.p.)
2) Il delitto di maltrattamenti è un delitto abituale, la cui consumazione presuppone la reiterazione nel tempo di più condotte lesive (più  percosse, minacce, molestie ecc) così da determinare una costante sottoposizione della vittima ad un regime di vita oppressivo o umiliante  o di sistematica sopraffazione.
La mera commissione di una sola condotta lesiva non integra il delitto di maltrattamenti, pur potendo, ovviamente, integrare diverse ed autonome fattispecie di reato (il singolo reato di percosse o di minaccia o d’ingiuria  ecc, per i quali ultimi  però non è ammesso l‘arresto in flagranza).
E’, dunque,  evidente che la Polizia Giudiziaria, seppure intervenuta in flagranza di una singolo episodio, non opererà l’arresto obbligatorio del soggetto agente, qualora la reiterazione della condotta nel tempo, nei termini e con gli effetti sopra specificati, non emerga all’osservazione diretta della stessa.
La persona offesa del reato di maltrattamenti avrà, quindi, l’onere di  rappresentare alla Polizia Giudiziaria che non si tratta del primo episodio di aggressione, minaccia percosse, ma che ve ne sono stati altri, in precedenza. Se tali precedenti episodi  fossero già stati oggetto di denuncia, sarebbe del tutto opportuno che la persona offesa comunicasse la circostanza alla Polizia Giudiziaria, anche esibendo le querele già sporte.  
       
Art 573 c.p. “Sottrazione consensuale di minorenni”

La norma punisce, con la reclusione fino a due anni, colui che sottragga il minorenne,  che abbia compiuto gli anni 14, con il consenso del medesimo, al genitore esercente la responsabilità genitoriale, o al tutore, ovvero lo trattenga contro la volontà del  medesimo genitore, tutore.
 La pena è diminuita se il fatto è commesso al fine di matrimonio ed è aumentata se commesso per fine di libidine.
Il reato è perseguibile a querela del genitore o tutore ai quali il minore è stato “sottratto”.    
La giurisprudenza ritiene che, ai fini della sussistenza del reato, il dissenso degli esercenti la responsabilità genitoriale, non possa essere presunto, ma debba  emergere da inequivoci elementi oggettivi, quali le particolari condizioni ambientali, le consuetudini morali nelle quali il minore viva , oltre ad eventuali, specifici e peculiari comportamento dei titolari della predetta responsabilità genitoriale, incompatibili con una volontà consenziente.


Art 574 c.p. “Sottrazione di persone incapaci”

La fattispecie incriminata all’art 574 c.p. si differenzia dalla precedente per le particolari condizione del soggetto “sottratto”.
Commette il reato di sottrazione di persona incapace chi  sottrae:
- un minore di anni quattordici;
- un infermo di mente (maggiorenne o minorenne) alle seguenti persone:
- genitore esercente la responsabilità genitoriale
- del tutore
- del curatore
- di chi abbia la vigilanza o la custodia sul minore
Risponde di sottrazione di incapace anche chi trattiene un minore di anni 14 o un infermo di mente, contro al volontà dei soggetti sopra elencati.
La pena per questo delitto è la reclusione da uno a tre anni. Il delitto è perseguibile a querela del genitore esercente la responsabilità genitoriale, del tutore o del curatore.
La stessa pena è prevista per chi sottrae o trattiene un minore, che abbia compiuto gli anni 14, senza il consenso dello stesso e per fine diverso da quello di libidine o matrimonio. Anche in questo caso si procede a querela dei soggetti sopra indicati.

Art 574 bis c.p. “Sottrazione e trattenimento di minore all’estero”
La norma prevede un inasprimento delle pene suddette, nel caso in cui, nelle ipotesi di sottrazione consensuale di minore (art  573 c.p.) o di incapace (art 574 c.p.) il minore / infermo di mente sia condotto all’estero o ivi trattenuto.
Qualora l’autore del reato sia il genitore del minore/ infermo di mente sottratto, la condanna determinerà la sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.
La fattispecie di cui all’art 574 bis c.p. è procedibile d’ufficio.