Venerdì 23 Gennaio 2015

9 - F.A.Q.

 

F.A.Q.


1) Il riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio necessità del consenso dello stesso?

Colui che nasca al di fuori del matrimonio acquista lo stato giuridico di figlio del genitore che lo riconosca, volontariamente o per  dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità. In tale ultimo caso la dichiarazione del genitore è sostituita dalla sentenza del Tribunale che accerti la paternità e/o maternità.
Il riconoscimento  del figlio, nato al di fuori del matrimonio, è fatto dal genitore,  all’atto della nascita dello stesso, oppure con apposita dichiarazione, successiva alla nascita o al concepimento. Tale dichiarazione può essere resa innanzi all’Ufficiale di Stato civile o contenuta in un atto pubblico o nel testamento del genitore (art 254 c.c.).
Il riconoscimento è irrevocabile (art. 256 c.c.) e può essere effettuato anche a favore del figlio nato da persone che, all’epoca del suo concepimento, erano sposate con altri (art. 250 c.c.). I genitori possono riconoscere in tempi diversi il figlio. Il riconoscimento del figlio che abbia compiuto gli anni 14 necessita dell’assenso di tale ultimo, poiché in difetto è privo di effetti giuridici. Il limite di età è stato abbassato
dalla L 219/2012, in vigore dal 1 gennaio 2013. Il precedente limite era di 16 anni di età. Di contro, il riconoscimento del figlio che non abbia già compiuto gli anni 14 è improduttivo di effetti giuridici, se non incontra il consenso del genitore che per primo lo abbia riconosciuto.
Il consenso non può essere rifiutato, se il riconoscimento  risponde all’interesse del  figlio.
Il genitore al quale sia negato il consenso al riconoscimento del figlio, pur sussistendo l’interesse di tale ultimo, può adire l’Autorità Giudiziaria, che si pronuncerà con sentenza. La sentenza terrà luogo del consenso mancante.
I genitori infrasedicenni non possono riconoscere i figli avuti, se non previa autorizzazione del Giudice, il quale ultimo disporrà, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio.


2) Cosa succede se i genitori non hanno di che provvedere alle esigenze dei figli?

L’art 316 bis c.c. dispone che i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. La norma dispone che quando i genitori non abbiano mezzi sufficienti a ciò, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, (i nonni) siano tenuti a fornire loro i mezzi necessari a provvedervi.
In caso d’inadempimento del soggetto obbligato al mantenimento dei figli (i genitori o in loro vece i nonni), il Presidente del Tribunale, su istanza di parte, previa audizione dell’obbligato ed assunzione delle informazioni necessarie, può ordinare che una quota dei redditi dell’obbligato sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sostenga le spese per la prole 



3) Le violazioni nei confronti dei doveri verso i figli che conseguenze giuridiche hanno?

Le conseguenze in ambito penale di tali violazioni sono quelle previste dall’art 570 c.p.. All’articolo è stata dedicata apposita scheda, in tema di delitti contro l’assistenza familiare, alla lettura della quale si rimanda.
Alle conseguenze civilistiche, esaminate in risposta al quesito che precede, si aggiungono l’addebito della separazione e l’illecito “endofamiliare”.
La violazione dei doveri nei confronti dei figli, in quanto comportamento contrario ai doveri scaturenti dal matrimonio, può costituire motivo di addebito della separazione, se abbia determinato la causa dell’irreversibile crisi coniugale.
Siffatte violazione possono essere fonte di responsabilità da illecito “endofamiliare”, ai danni della prole, ma anche dell’altro genitore, nel caso in cui le stesse determinino un danno ingiusto (risarcimento per fatto illecito, art 2043 c.c.).
Ciò significa che se un genitore venisse meno, in maniera grave, sistematica e senza giustificato motivo all’accudimento, alla cura della prole (fatto illecito), così da costringere l’altro a sacrificare il proprio lavoro o i propri interessi, per supplire alle mancanze del primo; il genitore che agisse in “supplenza” avrebbe il diritto a vedersi risarcito il danno, ingiusto, che siffatta condotta gli avesse determinato. Ad esempio, il
pregiudizio economico conseguente la perdita o la contrazione del proprio lavoro, trascurato per accudire i figli, in luogo dell‘altro genitore.



4) Il genitore può agire in giudizio per ottenere il mantenimento del figlio maggiorenne?

Qualora il figlio maggiorenne sia infermo di mente o affetto da grave handicap, lo può certamente fare.
Anche il genitore convivente con figlio maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, è legittimato ad agire in giudizio per ottenere l’assegno per concorso al mantenimento dello stesso. Otterrà l’assegno se il figlio risulti, senza sua colpa, non economicamente autosufficiente. Il Tribunale disporrà il pagamento dell’assegno a mani del figlio maggiorenne.
Anche il figlio maggiorenne è legittimato a spiegare siffatta azione contro il genitore o entrambi i genitori.  


5) Cosa si intende per addebito della separazione?

L’addebito è l’attribuzione a uno dei due coniugi della responsabilità della crisi, irreversibile, del matrimonio, tale da condurre alla separazione degli stessi.
Le causa di addebito è la significativa violazione degli obblighi  di assistenza morale e materiale che nascono dal matrimonio e di pari obblighi verso i figli.
L’addebito è attribuito dal Giudice della separazione, evidentemente giudiziale, in sentenza e su domanda di parte.
Il coniuge al quale è attribuito l’addebito perde il diritto all’assegno per il concorso al proprio mantenimento, a carico dell’altro coniuge (restano, ovviamente, impregiudicati i diritti per l’assegno al concorso al mantenimento dei figli presso lo stesso collocati).
Resta salvo il diritto agli alimenti, ex art 433 c.c., che spettano nella misura dello stretto necessario, a favore di colui che versi in condizioni d’indigenza; dunque in ipotesi residuale e del tutto diversa dal diritto al mantenimento in sede di separazione.
Colui che riceva l’addebito della separazione perde i diritti successori verso il coniuge separato, salvo il diritto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti (art 433 c.c.), a carico del coniuge poi deceduto.   



6) Come si determina l’assegno di mantenimento del coniuge?

In sede di separazione e di divorzio il Giudice provvede, su domanda di parte, anche in ordine all’assegno di mantenimento del coniuge, che non abbia, senza sua colpa, adeguati mezzi per provvedere al proprio sostentamento ( art 156 c.c. art 5 comma 6 L 898/70).
Il diritto è escluso in capo al coniuge al quale sia addebitata la responsabilità della separazione ( art 156 c.c.).
L’assegno di mantenimento del coniuge è determinato sulla base delle circostanze nelle quali il beneficiario versi, dei redditi dell’onerato, del contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge alla famiglia, alla formazione del patrimonio di ciascuno e del patrimonio comune ad entrambi, nonché della durata del matrimonio.



7) Quali sono gli effetti della riconciliazione dei coniugi separati?

Gli effetti della separazione vengono automaticamente meno per effetto della riconciliazione dei coniugi.
Ne consegue che la separazione potrà essere pronunciata, una seconda volta, solo per fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione (art 157 c.c. )
Se la riconciliazione interviene quando il giudizio di separazione non è ancora definito, la domanda di separazione si intende abbandonata (art 154 c.c.).
La riconciliazione può essere contenuta in una dichiarazione espressa, resa all’ufficiale di Stato Civile del Comune nel quale le nozze furono celebrate, oppure resa per fatti concludenti. In tale ultimo caso, le parti pongono in essere condotte incompatibili con la volontà di separarsi, prima tra tutte, quella di ristabilire,  stabilmente, la convivenza more uxorio, come espressione di “affectio maritalis” .  



8) Cosa si intende per usufrutto legale dei genitori sui beni dei figli?

I genitori esercenti la responsabilità genitoriale (che corrisponde alla precedente locuzione di potestà genitoriale), sono, per legge, contitolari dell’usufrutto sui beni dei figli  minori (art 324 c.c.) .
L’usufrutto consiste nella possibilità di compiere atti di ordinaria amministrazione su tali beni (non possono venderli, senza l’autorizzazione del Giudice Tutelare, perché tanto costituisce un atto di straordinaria amministrazione).
I genitori usufruttuari percepiscono i frutti dei beni dei figli (ad esempio i canoni di locazione, gli interessi bancari delle somme di denaro), ma devono destinarli al mantenimento della famiglia e all’educazione ed istruzione dei figli.
Non tutti i beni dei figli minori sono sottoposti all’usufrutto legale dei genitori  esercenti la responsabilità genitoriale. La norma prevede diverse eccezioni a siffatto regime, poste a tutela dell’interesse dei figli minori alla conservazione di una, pur residuale, disponibilità patrimoniale. A mero titolo di esempio, si citano, tra i beni esenti dall’usufrutto legale dei genitori, quelli lasciati o donati al figlio, per intraprendere una carriera, un’arte o una professione.

 

9) Il tradimento di uno dei due coniugi è sempre causa di addebito della separazione allo stesso?

Il tradimento è, certamente, una violazione degli obblighi scaturenti dal matrimonio, ma non costituisce sempre un motivo di addebito della separazione.
La costante giurisprudenza di legittimità e di merito sostiene che il tradimento costituisca motivo di addebito solo quando si ponga in nesso causale con la crisi coniugale, cioè ne sia la diretta causa.
E’ pur vero che la giurisprudenza non richiede la prova del nesso causale nelle ipotesi in cui il tradimento consista in una relazione di lunga durata, oppure agita alla luce del sole o con modalità lesive del decoro del coniuge tradito . In tali casi si presume il nesso di causalità.
La Suprema Corte di
(sentenza n. 18175/2012, tra le altre) ha affermato che : “Non può tuttavia sottacersi che la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale, particolarmente se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave di tale obbligo, che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, causa della separazione personale dei coniugi e, quindi, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale”
Al di fuori dei casi macroscopici sopra indicati, l’onere della prova del nesso di causalità grava sul coniuge che chieda l’addebito della separazione all’altro. Il Giudice, ai fini della decisione della domanda di addebito,valuterà se l’intollerabilità della convivenza sia diretta conseguenza del tradimento o se sia, invece, stata determinata anche dalla condotta dell’altro coniuge.

 10) Il genitore che abbia sostenuto una spesa straordinaria per il figlio, non preventivamente concertata con l’altro genitore, ha diritto ad ottenere dall’altro la metà della spesa?

Secondo la Cassazione sì, purchè non sia stato disposto in sede di separazione /divorzio che la spesa debba essere preventivamente concordata.
La Suprema Corte di Cassazione IV sezione, con ordinanza n. 4182/2016, ha sancito che non sussiste un generale obbligo di preventivo accordo tra i genitori circa le singole spese straordinarie, anticipate dall’uno o dall’altro per i figli. Pertanto, in difetto di espressa previsione di tale obbligo in sede di separazione e/o divorzio, quale espressione dell’autonomia negoziale delle parti e nel caso in cui, un genitore rifiuti di corrispondere all’altro la metà della spesa non preventivamente concordata, il Giudice dovrà condannare l’altro coniuge al pagamento della metà della stessa, qualora la ritenga rispondente all’interesse del minore, conforme alla capacità economica dei genitori e proporzionale all’utilità che il figlio possa trarre dal bene / servizio acquistato.


11) Si può ricorrere alla negoziazione assistita per la regolamentazione dei rapporti genitori/figli nelle famiglie di fatto?

Certamente sì, ma l’accordo di negoziazione assistita raggiunto non avrà una propria autonomia, al pari di quella prevista dal D.L. 132/14 per pari accordo, raggiunto all’interno di coppie coniugate, ma andrà considerato come un ricorso giudiziario, proposto congiuntamente da genitori di figli nati fuori dal matrimonio, ex art 337 bis c.c. e come tale, andrà sottoposto al Giudice Ordinario per la ratifica, con decreto reso all’esito dell’udienza di comparizione delle parti, in camera di consiglio. In tale senso si è pronunciato, recentemente, il Tribunale di Como.