Venerdì 23 Gennaio 2015

6 - Il cognome del figlio

 

IL COGNOME DEL FIGLIO
( a cura dell’Avv. Cristina Magnani)

Nel vigente ordinamento, la scelta del cognome del figlio ricade su quello paterno.
Non sono possibili variazioni, nè per il figlio nato in costanza di matrimonio, né per quello adottato da una coppia coniugata, né per il figlio nato fuori dal matrimonio che sia stato, contemporaneamente, riconosciuto da entrambi i genitori.
L’art 33 del D.P.R. 3 novembre 2000 n. 396 (“Ordinamento dello stato civile”) dispone che il figlio nato in costanza di matrimonio, necessariamente, assuma il cognome del padre. Solo il figlio che sia già maggiorenne alla data della legittimazione può scegliere entro un anno dal giorno in cui ne viene a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di
anteporre ad esso, a sua scelta, quello del genitore che lo abbia riconosciuto per ultimo.
L’art 299 II comma c.c. dispone che il figlio adottato da una coppia di coniugi assuma il cognome del marito.
L’art 262 c.c. dispone che il figlio nato fuori dal matrimonio assuma il cognome del genitore che per primo lo abbia riconosciuto. Se il riconoscimento è fatto, contemporaneamente, da entrambi i genitori, il medesimo assumerà il cognome del padre.
Solo nel caso in cui il figlio, già riconosciuto dalla madre, della quale sola, pertanto,  porti il cognome, sia successivamente riconosciuto dal padre, lo stesso potrà aggiungere o anteporre il cognome del padre a quello materno (doppio cognome), oppure sostituirlo a quello materno (solo cognome paterno). Tale è una mera facoltà,  non un obbligo e pertanto, in tale specifica circostanza, il figlio potrà decidere di  
mantenere il solo cognome della madre, che per prima lo abbia riconosciuto, ma solo in tale caso.
Se il figlio è minore la scelta verrà operata dall’autorità giudiziaria, previo ascolto del minore che abbia compiuto 12 anni di età ed anche di età inferiore, se capace di discernimento ( art 262 c.c)   
La questione in esame è stata più volte oggetto della giurisprudenza interpellata da genitori che avrebbero voluto dare al figlio il solo cognome materno o il doppio cognome e che incontrarono il rigetto dell’istanza di rettificazione del certificato di nascita del minore, sul punto.
Ciò che ne è emerso è la presa d’atto di una sostanziale discrepanza tra la norma vigente e l’evoluzione dei valori sociali di riferimento, dei principi costituzionali e degli impegni imposti dall’adesione dello Stato a convenzioni internazionali.
La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha, più volte, sollevato l’eccezione d’illegittimità costituzionale delle suddette norme (artt 262 c.c., 299 c.c. art 33 D.p.r 396/2000) per violazione:
- dell’art 2 della Carta Costituzionale, che pone il diritto alla identità personale. Il  nome è il primo e più immediato elemento caratterizzante il diritto all‘identità personale;
- dell’art 3 Cost. che pone il diritto d’ uguaglianza e pari dignità, evidentemente compresso, in capo alla donna,  dall’obbligo di attribuzione del patronimico;
- dell’art 29 comma II Cost. che sancisce l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi e preserva l’unità familiare. La quale ultima, per essere reale, presuppone solidarietà e
parità tra coniugi.
Le eccezioni d’illegittimità costituzionale sono, però, state sempre disattese dalla Corte Costituzionale, sebbene la stessa abbia dichiarato di condividere le ragioni di siffatte censure ed abbia anche denunciato la contrarietà della norma italiana, sul punto, alle convenzioni internazionali, fonti di diritto di rango superiore alla norma interna. La Corte cita, a titolo di esempio, la convenzione di New York del 1979, 
ratificata dall’Italia nel 1985, che impone agli Stati aderenti  l’eliminazione di ogni  discriminazione a carico della donna. La Corte riconosce che l’imposizione normativa del patronimico è espressione di una concezione patriarcale della famiglia, desueta e di “romanistica memoria”.
Il motivo per il quale la questione d’illegittimità costituzionale è stata, finora, rigettata è il limite oggettivo della divisione dei poteri, pure sancita dalla Costituzione.
 La Corte Costituzionale ha ritenuto che l’abrogazione, per illegittimità costituzionale delle norme che impongono il solo cognome paterno al figlio, comporterebbe la scelta tra lasciare un vuoto legislativo, in materia tanto sensibile quale il diritto al nome,  nell’attesa che il legislatore disponesse una regolamentazione organica della materia, oppure un vero e proprio intervento normativo della Corte. La varietà di situazioni che la fattispecie è chiamata ad affrontare non si presta ad una mera declaratoria d’illegittimità delle norme in esame, nella parte in cui impongono il patronimico al  figlio. Rimarrebbe, poi, da disciplinare, nel dettaglio, una pluralità di situazioni differenti e complesse. La Corte ha osservato che siffatta attività, propriamente legislativa, non rientra nelle proprie attribuzioni, ma in quelle del potere legislativo (tipicamente il Parlamento).
I Giudici della Consulta osservano di non potersi sostituire al Legislatore, del quale ultimo caldeggiano un celere intervento, in materia. (Corte Cost 16/02/1961 n 61).
Costituisce recente fatto di cronaca, ampiamente divulgato dai mass media, il ricorso presentato da due coniugi italiani alla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, contro lo Stato Italiano per avere negato loro la possibilità di attribuire al figlio minore il solo cognome della madre.
La corte di Strasburgo ha riconosciuto che la legge italiana opera, in ordine alla necessaria attribuzione al figlio del solo cognome paterno, un’illegittima discriminazione dei genitori, in violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare, protetto dall’art 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (C.E.D.U.) ed in generale, del diritto d’uguaglianza uomo - donna.
La Corte Europea, con decisione del 07/01/2014, ha, quindi, affermato l’importanza a che tale disparità sia rimossa dal Legislatore nazionale.
Si auspica che siffatte autorevoli raccomandazioni siano presto seguite per uniformare, anche su questo punto, la disciplina interna ai principi costituzionali ed alla normativa internazionale.